giovedì 15 febbraio 2007

Un grande.....




Alberto Cova, dalla pista all'odontoiatria


Il re dei 10.000 Alberto Cova (Foto Ansa)


C'è stato un tempo in cui l'atletica in Italia ha oscurato anche il calcio. Erano gli inizi degli anni '80 e tutti, nonostante l'esaltazione per la vittoria degli azzurri nei Mondiali del 1982, si identificarono con Alberto Cova.


Agli italiani piaceva quell'atleta che non mollava mai e poi, a pochi metri dal traguardo, accelerava il passo e vinceva.


Consegnate alla storia dello sport tricolore le medaglie di Atene, Helsinki e Los Angeles oggi l'uomo d'oro dell'atletica italiana lavora nel campo dell'odontoiatria come consulente per le relazioni esterne. Un cambio di contesto che non ha mutato la passione per lo sport e soprattutto il carattere di Alberto sempre pronto ad affrontare le nuove esperienze con la caparbietà e la tenacia di quando si confrontava con i 10.000 metri.





Alberto Cova lei è stato il protagonista assoluto dell'atletica degli anni '80: qual è il suo ricordo?
"L'atletica italiana in quegli anni si è espressa ad altissimi livelli e non solo grazie a me, ma a una generazione di campioni. Bisogna sempre guardare al passato per costruire il futuro e quindi per comprendere quei risultati si deve fare un passo indietro e analizzare il lavoro svolto negli anni '60 e '70. C'è stata una continuità con il passato e una sana concorrenza tra i giovani di quella generazione".



A cosa è dovuto il successivo crollo e la conseguente perdita delle popolarità conquistata?
"All'assenza dei risultati importanti che avevano caratterizzato il decennio precedente. Ma la popolarità dell'atletica non è calata, basta vedere la risonanza sui media ogni volta che abbiamo ottenuto dei successi. C'è stato un buco tra gli anni '90 e il 2000, con l'eccezione di Baldini che però si era formato con la generazione che lo ha preceduto. Molto hanno pesato le scelte tecniche gestionali come, per esempio, l'indirizzo troppo verticistico a favore della maratona".



Qual è stato il segreto per costruire una carriera così ricca di successi?
"Il mio segreto nella sport come nella vita è dato dall'approccio mentale alle sfide e dal lottare sempre per quello in cui si crede. Per diventare un campione ci vogliono però talento, predisposizione al sacrificio e un progetto condiviso da una squadra. Quando avevo vent'anni ho fatto una scelta forte e decisa, ho faticato per seguirla e c'è chi ha creduto in me. Oggi i giovani non sono preparati e non sono posti nelle condizioni di fare questa scelta, ma la società è cambiata moltissimo".



Tutti gli sportivi hanno un rito scaramantico, qual era il suo?
"Non ne avevo. Ma le medaglie di Atene, Helsinki e Los Angeles sono arrivate tutte con la maglia fornita dallo stesso sponsor, se vuoi chiamarla scaramanzia...".



Nella sua lunga carriera c'è un episodio curioso che le è rimasto impresso?
"No. Sono sempre stato molto pignolo nella preparazione della gara e non ho mai avuto sorprese".



Spesso l'atletica ha registrato episodi di doping, ai suoi tempi com'era la situazione?
"Il doping è sempre esistito perché c'è sempre chi gioca sporco, ma questo è un problema che coinvolge tutta la società. Non deve passare il messaggio che i risultati sono mancati quando i controlli sono divenuti più severi. Se c'è una differenza, ma non riguarda il doping, è l'approccio all'esercizio motorio".



Gli atleti sono meno predisposti?
"Sì, perché l'individuo degli anni '70 e '80 faceva un'educazione motoria volontaria. Nel mio caso alternavo le sgambate in bicicletta con gli amici nei boschi comaschi, agli allenamenti. Eravamo sempre in movimento. Oggi invece la società impone ritmi più comodi e c'è una attività sportiva forzata, spesso limitata a un singolo sport e con una forte predisposizione all'agonismo. E' un problema di gestione".



Cosa intende?
"I numeri dell'atletica dicono che il 50 per cento dei ragazzi formati tra i 14 e i 17 anni abbandona. Questo è dovuto al fatto che è stata abbassata l'età di reclutamento, una scelta discutibile visto che poi i giovani non sono maturi per fare la scelta fatta di sacrifici e decidono di mollare. C'è poi una società che impone allo sportivo il raggiungimento immediato del successo".
da sport.tiscali.it

2 commenti:

  1. Eeeehhh!!

    Ricordo ancora quando in una competizione di alto livello (olimpiade, mondiale o europeo), tre italiani si piazzarono ai primi tre posti: Cova, Antibo e Mei.
    Alberto in particolare era straordinario per la sua condotta di gara. Non forzava mai, era sempre lì, secondo, e all'ultimo, poco prima del traguardo, lo vedevi scattare e superare tutti i suoi avversari.

    Eeeehhhh!!

    Bei tempi...

    Va bé, va... stasera allenamento a 6 al km???

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  2. bravo Gianluca:
    questo post, anche se per poco, nn m'ha fatto pensare a 'sta febbre del ca...!!!
    Comunque già sto pensando alla mezza de Rieti!!!
    Solo un miracolo me permetterà de fa er tempo a 'sta Roma-Ostia!!!
    ps:
    nn sto a mette le mani avanti, sto solo cercando di essere realista

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